Lo Smart Working in Italia ha funzionato? Una breve analisi

Si sa che in Italia l’assorbimento di nuove tecnologie e differenti abitudini lavorative avvengono in modo più lento rispetto ad altri paesi. Lo Smart Working non fa eccezione. Per Smart Working si intende un sistema di lavoro flessibile, sia per lavoratori dipendenti che indipendenti, che sempre più aziende adottano. Ci sono infatti benefici economici per le aziende e per i lavoratori che possono gestire in modo più libero i progetti, operando da luoghi differenti da remoto.

Ci eravamo già occupati di Smart Working, spiegando che cos’è e quali sono i benefici. In questo articolo andremo invece ad approfondire lo stato attuale dello Smart Working in Italia.

LEGGI L’ARTICOLO «Più “agili con lo Smart working»

I dati dello Smart Working in Italia

Lo Smart Working non coinvolge solo i dipendenti, ma anche i manager. Se ne parla molto anche in Italia, dove c’è bisogno di rivedere gerarchie tradizionali e valorizzare le capacità delle persone. Questo può avvenire anche con il digitale, che può consentire un approccio più flessibile al lavoro.
In Italia il 56% delle grandi aziende ha in corso progetti strutturati di Smart Working. In un confronto con l’Europa, l’Italia si trova più avanti rispetto alla Spagna (42,86%) ma ancora indietro rispetto alla Francia (56,36%). Il fatto che i millennial entreranno nel mondo del lavoro a breve imporrà un’accelerazione e un ricambio generazionale. Insomma, un cambio di abitudini che non sempre avviene in tempi rapidi.
I dati relativi a piccole e medie imprese però dimostrano ancora una certa impermeabilità: solo il 24% delle PMI e l’8% dell’Amministrazione Pubblica hanno in piedi progetti di lavoro flessibile strutturati. Dall’altro lato è però interessante notare come a Genova il Comune abbia messo in atto un sistema per utilizzare lo Smart Working in caso di allerta maltempo o per altre calamità o eventi straordinari che possano determinare paralisi alla viabilità urbana.
La diffidenza è dovuta ai timori legati a temi di sicurezza, privacy e governance. In Italia oltre il 46% delle aziende (leggermente sotto la media europea del 48%) ha iniziato ad adottare specifiche policy di sicurezza per essere in linea con i nuovi stili di lavoro.

Il benessere dei dipendenti e lo Smart Working

Dove l’Italia sembra carente è nell’interesse al miglioramento dell’equilibrio tra vita lavorativa e privata dei propri dipendenti: solo il 37,04% delle imprese italiane lo pone tra obiettivi principali dei programmi di Smart Working. Siamo su dati ampiamente sotto la media europea (quasi 40%) e molto distanti da Spagna (53,57%), Germania (49,06%) e Inghilterra (47,46%). L’interesse è invece maggiore per abbattere i costi, tema prioritario per il 48,15% delle aziende nostrane dove la media europea si attesta al 40,16%.
Insomma, per le aziende italiane lo Smart Working sembra interessare per contenere i costi, ma non per il benessere dei lavoratori.
Oltre a un problema di adoption da parte delle aziende, c’è anche il nodo dell’alfabetizzazione digitale in Italia: secondo le stime Ocse solo il 21% della popolazione tra i 16 e i 65 anni ha un livello soddisfacente di alfabetizzazione digitale e solo il 36,6% sa usare Internet in modo strutturato. Quasi un disoccupato su 5 dichiara di non aver mai usato internet.
Uno dei temi che andrà affrontato riguarda le patologie da isolamento digitale: secondo alcuni studi infatti le malattie del sistema nervoso sono in aumento tra i lavoratori. Anche l’hot desking adottato da alcune aziende è fonte di alienazione. Si tratta di un sistema di lavoro dove il personale condivide un’unica grande postazione con altre persone e viene effettuata una rotazione continua. Questo sistema è fonte di disturbo e porta a isolarsi. Per questo c’è bisogno di ripensare anche gli spazi di lavoro.